Nei carboidrati la forma è importante, ovvero i chicchi interi o spezzettati in modo grossolano hanno un indice glicemico inferiore a quelli sminuzzati più finemente o alle farine, proprio perché assorbiti di meno, o meno rapidamente. Basta fare una ricerca nelle banche dati delle riviste scientifiche alla voce “particle size starch glycemic index”.
Cioè se ingeriamo grano spezzato sommariamente, spaghetti o chicchi interi cotti, in pratica è come se li masticassimo di meno: qualcosa sfugge sempre alla masticazione. Quindi è smentita l’ipotesi di Fletcher che “di per sé” il cibo non ben masticato “dà più calorie” e fa aumentare il peso. Semmai è il contrario! Questo, certamente, potrebbe accadere se nella furia di mangiare velocemente, essendo ridotta la sazietà intra-pasto, un soggetto compulsivo mangiasse anche altri cibi.
Ma la digeribilità dei cibi mal masticati (almeno per gli amidi e le fibre), considerati da soli, è minore, non maggiore dei cibi ben masticati. Se dunque per ipotesi e senza considerare altri eventuali fattori (p.es. gli ormoni del tubo digerente), un soggetto sovrappeso si limitasse alla quantità di cibo corretta, il fatto di non masticarla bene, avrebbe semmai effetti dimagranti e salutari, piuttosto che ingrassanti e dannosi.
Insomma, se è plausibile che masticare molto fa mangiare di meno e quindi dimagrire, non è vero l’opposto, che cioè masticare poco faccia mangiare di più e quindi ingrassare.
Molti studi hanno provato che quanto più piccole sono le dimensioni delle particelle di amidi, tanto maggiore è la quantità di glucosio assimilato e in conseguenza tanto più abbondante ed immediata la secrezione di insulina.
In definitiva se il tuo coach sceglie tra penne o spaghetti o tra riso e gallette, ci sarà sempre un perché.
Il destino degli amidi cambia e di tanto.
Nicola Camera